Il Vietnam è divisibile in due differenti paesi: il Nord ed il Sud. Il settentrione è un paradiso ancora legato
alla natura rigogliosa e spontanea. Ha Giang, Sa Pa, Ha Long Bay, Moc Chau, Ninh Binh sono tutti luoghi
meravigliosi in cui il turismo è molto presente ma non invadente.
Il turismo è spesso deriva dalla vicina Cina, che è sempre stata presente nella storia e tradizione di questo popolo. Negli ultimi anni è entrata ancor più di prorompenza nel cuore economico del paese, grazie soprattutto alla rete ferroviaria creata dai francesi nel 1902 e che dopo le peripezie del secolo passato oggi è porta di accesso per turisti ed imprenditori cinesi. Inoltre, il comunismo è più palpabile: la zona ha dato i natali alla compagine dei Viet Minh ed alla Repubblica Democratica del Vietnam, poi sfociata nella Repubblica Socialista che oggi unifica il Paese.
Il versante meridionale, invece, ha una solida base economica fondata sul turismo, specialmente nella zona costiera, figlia della grande influenza americana che dal 1955 al 1976 ha governato sulla zona. Qui il panorama è più prosaico, danneggiato dal famoso Agente Orange e dalle incessanti influenze turistiche, soprattutto cinesi ed americane, pur mantenendo paesaggi naturali meravigliosi come negli altopiani intorno a Buon Mah Tout e Pleiku, in cui la natura è immersiva e rinfrescante.
È inutile nasconderlo, i cinesi hanno creato, conquistato, comprato e stanno pian piano
distruggendo le tradizioni di questi popoli. La colonizzazione ideologica durante il regime maoista è
sfociata in vera e propria invasione, rendendo i cinesi i portafogli con le gambe del sudest asiatico. Dal Vietnam all’Indonesia, la Cina ha preso il controllo su tutto il territorio, riuscendo a dare alle popolazioni
qualcosa che i conquistatori europei e gli americani non sono riusciti a soddisfare: la libertà di vivere al
loro modo. I governi cinesi hanno capito, grazie ad errori altrui, la potenza ed il carisma di queste
popolazioni, indomabili quando si cerca con la forza di reprimerne la cultura. Hanno così sapientemente
conquistato la fiducia locale con astuzia, denaro e la promessa di una vita più ricca nei Parlamenti, a
discapito delle povere tradizioni locali che oggi più che mai avviliscono all’ascesa della modernità. Tanti
di loro ormai hanno dimenticato da dove arrivano, chi sono stati. Fino al secolo scorso i cinesi erano
rinomati grazie alla loro spiccata spiritualità, specialmente grazie quell’affascinante Confucianesimo,
tanto caro alle vecchie tradizioni orientali che considerava i commercianti l’ultimo gradino della
piramide sociale, ben dietro contadini ed artigiani, proprio perché portatori del peggior parassita
mondiale: le abitudini altrui. Esiste chi tali valori li professa ancora, ma questa piccola nicchia ormai
arranca per i colpi inflitti dal denaro derivante da qualche hotel di lusso. L’avarizia è una brutta bestia e
quando i soldi chiamano, purtroppo, in alcuna società vi sono tradizioni ed idealismi che tengano.
Geograficamente parlando, l’ultima città asseribile al Vietnam del Nord è Huè, meraviglioso borgo
imperiale posizionato ai piedi dei monti Truong Son ed attraversato dal Fiume dei Profumi, il quale ha
conservato di profumato solo il nome, ma in autunno i frutteti che circondano le sue rive regalano i loro
fiori alla corrente dove ne disperdono gli aromi, comunque insufficienti a coprire l’odore delle sporche
acque.
Viceversa, la prima tappa del versante Sud del Paese è Da Nang che da Huè si raggiunge scollinando il
curvilineo passo Hai Van, suggestivo colle di montagna spesso affollato di turisti che si lasciano
ammaliare dai vari venditori di tour guidati della zona e decidono di salire in sella ad una moto per
lasciarsi trasportare dal brivido della guida Vietnamita. Letteralmente ‘’Colle delle nuvole di mare’’, Hai
Van offre un panorama spettacolare dall’alto dei suoi seicento metri di altitudine ed è stato di
fondamentale importanza durante le guerre. I vecchi bunker sono ancora presenti, non più abitati da
soldati armati bensì popolati dalle tante capre libere di pascolare nella zona. Ricordo la prima volta che
abbiamo attraversato questo passo, attoniti dalla meravigliosa vista ma anche sorpresi dalla quantità di
turisti che affollavano la zona con i loro scooter noleggiati.
Da Nang è una piccola Miami nel centro meridionale del Vietnam, la quale ormai di tradizionale non ha
più nemmeno gli abitanti. Diventata famosa per il ponte Ho Chi Minh inaugurato nel 2017, la città è
invasa dai turisti e dal loro denaro. Si può pensare che i Vinwonder, i parchi divertimento a tema turista
occidentale molto presenti sul territorio, in questa zona sono addirittura due ed a distanza di venti
kilometri l’un dall’altro. Anche le meravigliose montagne di marmo, una delle attrazioni naturali più
belle e spiritualmente impattanti di tutto il Vietnam, sono diventate patrimonio di ambulanti ed
acquirenti. All’interno di questi splendidi picchi calcarei sorgono alcune delle pagode più antiche e
caratteristiche di tutto il sudest asiatico, assediate dalle luci al neon e dalle affluenze, ogni giorno in
aumento. Un luogo unico, esoterico ed in cui a causa della modernità, nemmeno i bonzi vogliono più
vivere. Chi di loro si è mantenuto ancorato a quella che effettivamente dovrebbe essere sua casa, si
nasconde e scansa gli occhi e le variegate lingue dei visitatori.
A breve distanza da Da Nang vi è Hoi An, variopinta cittadina di origine coloniale. Come la tavolozza di
un pittore a fine giornata i colori, l’accozzaglia delle influenze culturali derivanti dalla sua grande
tradizione portuale le hanno conferito suggestione e magia. L’unione degli stili e delle epoche si
manifesta nella sua pittoresca architettura: camminando nella città vecchia si spazia dai templi alle
shophouse cinesi in legno, dagli antichi ponti giapponesi alle tradizionali case coloniali francesi.
Conosciuta anche come città delle lanterne in quanto famosa per la ottima fattura delle sue produzioni
in seta, ad Hoi An ogni sera si può ammirare una sfilata sul fiume Thu Bon di piccole canoe colorate da
queste meravigliose lanterne e dai sempre più numerosi turisti che le popolano con brillanti salvagenti
arancione fluo. Questo corteo, che una volta omaggiava mensilmente il plenilunio in attesa della nuova
luna, oggi viene svolto quotidianamente vista la mole turistica pronta a spendere soldi e gli ambulanti
insistenti pronti per soddisfarli.
La suggestione conferita dall’architettura di questa splendida cittadina è inombrata dall’insaziabile ed infermabile calca di visitatori, affascinati da qualche bello scatto colorato visto su instagram. Che brutta invenzione il turismo di massa! Il soldo, a prescindere dagli archetipi insiti nelle differenti parti del mondo, è la divinità dominante in un mondo enoteista. Non si possono nemmeno biasimare gli autoctoni, affascinati da un sogno di vita migliore e più ricca accettano di buon grado le conseguenze dei compromessi richiesti dal progresso a discapito delle tradizioni locali. Ma purtroppo siamo sfociati nella condiscendenza nei confronti del turista, scardinando culture al fine di accontentare le pretese di qualcun altro. Il mondo è diventato una nave da crociera climatizzata, dove in nome dei soldi tutto è lecito ed il sudest asiatico ne è solo che l’ultima vittima. Hoi An, anche a seguito della sua storia, ha sempre accettato di essere un crocevia di culture e persone, finendo per essere la prima vittima del disboscamento delle tradizioni in atto in tutto il Vietnam in nome del progressismo.
Molti luoghi in questo continente ad oggi sono ormai dei non luoghi, ricreati ad hoc sulla base del
modello standard di un turista occidentale medio.
Era il diciassette settembre ed un tifone stagionale ci ha costretto a passare qualche giorno nella
periferia Hoi An, a due passi dal mare. Vivevamo in una piccola guesthouse come unici clienti, viziati con
il caffè in camera mattutino ed il lavaggio delle moto, assediate anche loro dal caldo asfissiante.
Eravamo ansiosi di lasciare alla nostra libertà lo spazio necessario, pronti per respirare una nuova aria
che riempisse i nostri polmoni di conoscenza su noi stessi. Non avevamo preoccupazioni, nemmeno il
denaro a nostra disposizione, in quanto la possibilità di lavorare in qualche ostello non ci dispiaceva e
comunque alla base del nostro viaggio c’era l’idea di svolgere volontariati, in cui avremmo potuto
barattare vitto ed alloggio in cambio di lavoro. Un modo valido ed economico per viaggiare e scoprire le
culture locali più profondamente.
Ormai il tragitto era tracciato, avevamo come ultima tappa Ho Chi Minh, da raggiungere entro il
ventisette per riconsegnare le moto a noleggio e comprarne delle nuove, finalmente ufficialmente
nostre che ci avrebbero accompagnato fino allo sfinimento dei motori oppure braccati da qualche
autorità locale.
Entrare ad Ho Chi Minh fu snervante e disorientante . Se Hanoi conserva ancora quella tradizionale e
particolare struttura orientale, la vecchia Saigon è molto più simile a Bangkok. Insegne pubblicitarie,
cartelli led accecanti, night club, strip club, in una parola: caos.
Io e Mirko eravamo decisi sin da subito nel non voler star in quella città, manifesto perfetto di quel detto
secondo cui ‘’il troppo storpia’’. Giusto il tempo di acquistare le moto e ripartire. Grazie a ciò, fummo
molto pragmatici, veloci e sconsiderati nell’acquisto: per poco più di quattrocento euro l’una abbiamo
comprato due Honda CB 150 cc, cafè racer e modificate e spoglie. Erano moto poco affidabili ma a cui ci
siamo velocemente affezionati. Erano le nostre prime vere moto in Asia ed ad esse ci è stata consegnata
una carta che ne accertasse le caratteristiche, detta anche ‘’Carta blu”. Ci siamo affidati al nostro
venditore, il quale aveva aperto le porte di casa sua di domenica, giorno del compleanno della figlia per
la compravendita, offrendoci del thè caldo sotto il sole cocente di Ho Chi Minh. Era minuto e con poca
barba ma aveva un volto affidabile. Si spacciava meccanico, in realtà collaborava con un’officina che gli
riparava le moto chiedendo una percentuale sulla rivendita. Era diretto e sbrigativo, come volevamo noi,
perciò ci stringemmo in fretta la mano.
Eravamo pronti, non ci mancava niente. In sella alle nostre nuove compagne di viaggio eravamo ansiosi
e curiosi di scoprire nuovi orizzonti e nuove persone.
Ad Ho Chi Minh siamo anche riusciti a metterci in contatto con la prima struttura in cui svolgere
volontariato. Era un centro in cui veniva insegnato inglese, nella cittadina di Hong Ngu, al confine con la
cambogia distante circa ottanta kilometri da Saigon. C'eravamo accordati per la seconda settimana di
Ottobre in quanto il centro era già pieno di volontari. Però scalpitavamo all’idea di star a contatto con i
giovani ragazzi vietnamiti e scoprirne gli usi ed i costumi! Ancora una volta, l’Universo ci ha inviato uno
dei suo famosi Segnali: erano le otto di sera, eravamo in un parco scherzando sull’ingente quantitá di
topi presenti in zona ed organizzando il dove andare per superare quell’attesa atroce quando ci squillò il
telefono. Era Mr.T, il baldanzoso gestore del centro d’inglese ‘‘My U Ac’’ di Hong Ngu, dove appunto
avremmo lavorato. Con un inglese approssimativo ci chiese se potessimo anticipare il nostro arrivo al
giorno dopo. Senza alcun indugio preparammo le valige, mangiammo velocemente e subito a letto. Il
giorno dopo avremmo iniziato una nuova esperienza, un nuovo viaggio, più personale e profondo.
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