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Capitolo 0: Ride To Smile

RideToSmile è innanzitutto un sogno. È l’unione di due passioni indissolubili tra loro, la fotografia e la scrittura. E non solo: RideToSmile è l’unione di due anime, di quelle che incontri raramente

nella vita, con le quali avverti una compatibilità innata. Avete presente quei rapporti in cui non servono

parole per capirsi? Quelle relazioni in cui uno sguardo, una battuta, una stretta di mano ci fanno sentire come a

casa? Quelle che, mentre le vivi, ti inducono a pensare che non sia la prima volta in cui voi vi incontrate,

come se ci fosse un’appartenenza derivante da vita passata. Ecco, per me e Mirko è andata proprio così:

non ci siamo scelti, bensì trovati. Un anno fa ci siamo incontrati per caso: ripensare a quei primi giorni mi

sembra incredibile l’intesa e la comprensione avvertite, la leggerezza con cui abbiamo comunicato sin da

principio e la comunione di idee relative alla vita che ci ha portati a pianificare insieme un viaggio. Il

ricordo di come siamo arrivati a tale decisione è vivido nella mia mente, custodito in me come il calore

di un caffe’ all’interno della moka del primo mattino. Era un caldo lunedì di metá giugno ed io ero

appena rientrato da una trasferta lavorativa. Mirko arrivò a casa mia, come accadeva ormai da qualche

mese, per un aperitivo. L’odore del gelsomino bagnato dalla pioggia estiva inebriava le nostre narici,

mentre il sapore dei nostri cocktail allietava i palati.

Ma facciamo un passo indietro. Mirko ed io avevamo in progetto di aprire un locale a Tenerife, nelle

Isole Canarie, e fu questo che ci portò all’idea di partire insieme , per saggiare la nostra coesione.

Forse presi dai fumi dell’alcool, forse spinti da un’affinità proveniente, chissà, da una vita passata e

certamente forti della voglia reciproca di scoprire il mondo, concordammo la destinazione: Vietnam.

Mirko è un navigato viaggiatore, con un grande bagaglio d’esperienza al di fuori delle mura cittadine. Io

ero curioso: sentivo che attorno a me c’era qualcosa in più, qualcosa da scoprire ed avevo necessità di

compiere un viaggio che mi regalasse libertá. Mi affidai così ai suoi racconti relativi a Thailandia e Sud

Est Asiatico e, incuriosito da quella meta così affascinante ed esotica, accolsi con entusiasmo la scelta.

Mirko aveva già un piano: viaggiare in moto da Hanoi, capitale attuale dello splendido Paese di cui

presto vi racconterò, ad Ho Chi Minh, la vecchia Saigon, per chi ha ancora impresse le immagini della

terrificante guerra che ha sconvolto un Paese in lotta per la propria indipendenza, dopo anni di dominio

francese, divisione interna e sudditanza americana. Il viaggio si presentava insidioso, amplificato dal

fatto che io, prima di arrivare in Vietnam, non avessi mai guidato una motocicletta, ma solo scooter

automatici. Grazie ai consigli di Mirko, spesso elementari, ho imparato a destreggiarmi. Ricordo le sue

parole di conforto: “È facile: la prima in giú e tutte le altre marce in su”. Con chiarezza ancora maggiore

rammento la determinazione nei suoi occhi, capace di rasserenarmi, quasi trasparisse una fiducia di cui

mi volesse rendere partecipe. Cosi’, grazie a quelle parole, mi feci forza ed accettai la sua insana

proposta.


I mesi antecedenti alla partenza furono un turbinio di emozioni: durante questo periodo, e lo dico con

rammarico, rovinai rapporti con persone molto importanti nella mia vita. Il lavoro mi stava dando grandi

soddisfazioni, ma perseverava all’interno del mio animo una strana inquetudine, come se apprezzassi

molto ciò che stavo facendo ma non lo sentissi effettivamente mio.


Infine mi sentivo quasi un estraneo in quel contesto a cui, volente o nolente, appartenevo. Le serate al

bar, le feste e tutto quello che abbracciava la mia esistenza non combaciavano più con l’ideale della

persona che avevo in mente. Mi sentivo come gli Shinigami di quegli antichi racconti giapponesi:

aleggiavo annoiato tra due mondi, quello reale, a cui non sentivo piu’ di appartenere, e quello ideale,

che non riuscivo a realizzare. Mi sentivo solo e vedevo attorno a me la solitudine. I miei familiari e i miei

amici tutti erano preoccupati per me e potevo percepire il loro stato d’animo.

Tornando con la mente a quei momenti, mi rendo conto di quanto tale inquietudine derivasse dalla

poca consapevolezza che avevo di me e dalla conseguente scarsa considerazione. Non c’è niente che

possa rendere una persona piu’ triste dell’insoddisfazione nel proprio operato.

Pochi giorni prima della partenza, appena tornato da una trasferta di lavoro, trascorsi qualche tempo in

casa con la mia famiglia. Erano i giorni del Tifone Yagi e della sua terribile devastazione in tutto il sudest

asiatico. La mia preoccupazione era palpabile, nella mia mente il pensiero “non ho mai guidato una

moto a marce ed ora dovrò farlo in mezzo ad una tempesta di tale calibro?” minava la mia

determinazione. Tremavo al solo pensiero, anche se cercavo, con scarsi risultati di nasconderlo alle

persone che mi circondavano. L’ansia scompariva quando vedevo la carica negli occhi del mio compagno

di viaggio, sicuramente agitato quanto me ma capace di dominare l’ansia.

I morti causati dal tifone aumentavano ed i video terrificanti della tempesta viaggiavano a grande

velocita’ dal cellulare dei miei conoscenti al mio. Fingevo non mi importasse, ma in realta’ la paura di

morire mi assillava, anche per il mio terrore nei confronti dell’aereo. La sera prima della partenza la

passai così, tremando dalla paura per un viaggio nell’ignoto e cercando vanamente notizie incoraggianti

relativamente alle inondazioni che tormentavano il Vietnam.

Terminai i preparativi e il mio zaino era colmo di vestiti occidentali, ancora inconsapevoli della fine che

avrebbero fatto da lì a poche settimane. Passai l’ultima notte in Italia insonne, continuando a pensare a

ciò che mi aspettava il giorno successivo. Quella nottata fu particolarmente piovosa, le applicazioni

meteo davano temporali anche per la mattina successiva e anche quello contribuì ad aumentare paure

nel mio animo inquieto. Mi addormentai a notte inoltrata, un dormiveglia senza sogni, privo di fase

REM.

Al mio risveglio, il giorno della partenza, ottenni il primo di quelli che mi piace definire Segnali

dall’Universo, definizione che ho rubato ad uno dei miei autori preferiti, Paulo Coehlo, ossia

avvertimenti che l’Universo dà agli esseri umani per guidarli sulla via stabilita per loro e che solo i diretti

interessati sono in grado di leggere e, soprattutto, di seguire.

Infatti, quella mattina, la pioggia, fino ad allora battente, era cessata e sulla citta’ di Milano faceva

capolino qualche raggio di sole. I nuvoloni che avevano tormentato la mia nottata, erano stati spazzati

via dal vento, ma non solo loro: il Favonio aveva spazzato via anche le mie paure .

Prima di chiudere la porta di casa e salire sull’auto di Mauro, padre di Mirko, che ci avrebbe

accompagnato in aereoporto, ripensai alle parole di una persona che rispetto molto a cui sono molto

grato, che una volta mi disse:”Per gestire la paura, devi semplicemente trasformarla in adrenalina”. Così

feci e decisi che da quella mattina non avrei piu’ affrontato la mia vita con il timore di sbagliare ma con

la determinazione di vincere. Non era una consapevolezza derivante da un pensiero razionale, bensi’


una spinta interiore, nata dalla volonta’ di non perdere e di vivere al massimo le mie esperienze. Non mi

intimoriva piu’ l’ignoto, nè prendere un aereo, nè noleggiare una moto.

La mamma spesso mi ripeteva che mi aveva dato alla luce per essere donato al mondo. Capii quella

mattina, il significato delle sue parole.

Mi lasciai la porta di casa alle spalle e decisi che non sarei piu’ tornato indietro

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